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La sequenza sismica del Matese a cavallo fra 2013 e 2014 e i magmi dell'Appennino meridionale

Source info:

Author: Aldo Piombino
Date: 2018-01-11 21:20:00
Blog: scienzeedintorni
URL: http://aldopiombino.blogspot.com/2018/01/la-sequenza-sismica-del-matese-cavalo.html

Summary:

Il lavoro appena uscito su Science Advances sulla sequenza sismica del Matese è davvero importante, soprattutto perché identifica una nuova classe di terremoti nelle fasce orogeniche attive. Purtroppo il solito can can mediatico di un giornalismo italiano che non sa di Scienza, ma ne parla in maniera sballata ha spostato l’asse della discussione nell’opinione pubblica su cose inesistenti come il rischio sismico associato alla questione. Si è trattato in effetti di una sequenza strana, per cui è stato fondamentale effettuare uno studio multidisciplinare per precisarne i termini e le cause.  Vediamo quindi un po' in dettaglio la sequenza, e quali sono i risultati che hanno portato a queste considerazioni nell’articolo [1], che significativamente è intitolato Seismic signature of active intrusions in mountain chains.  La sequenza sismica tra dicembre 2013 e febbraio 2014: si nota la suddivisione degli epicentri in due lobi LE CARATTERISTICHE DELLA SEQUENZA SISMICA TRA 2013 E 2014 NEL MATESE. Il 29 dicembre 2013 alle 17:08 UTC, un terremoto Mw 5 si è verificato sotto le montagne del Matese tra Campania e Molise (zona cara ai dinosaurofili: a Pietraroja è stato scoperto Ciro!). Nei successivi 50 giorni sono state registrate 350 repliche. A gennaio, dopo una settimana circa di calma piatta, si è verificata una ripresa dell'attività con il secondo evento Mw 4.2 del 20 gennaio 2014. Lo studio delle onde sismiche ha ricavato un meccanismo distensivo lungo una faglia orientata NW-SE, con una piccola componente orizzontale che si aggiunge alla preponderante componente verticale. Diciamo che sarebbe un “classico” per l’Appennino Centrale, senonché la sequenza presentava delle cose un po' anomale:   la sismicità era concentrata a profondità tra 10 e 25 km nel basamento cristallino della catena, quando la "normale" sismicità della catena è generalmente meno profonda e interessa la spessa coltre dei sedimenti mesozoici e terziari l'evoluzione della sequenza mostra che gli ipocentri delle repliche sono migrati verso l'alto e si sono diffusi verso sud-est in pochi minuti gli ipocentri raffigurano due ammassi simili a dita che circondano una zona asismica lunga circa 1,5, larga e spessa 2,5 km, che presenta una forma simile a una diga (come da carta qui a fianco) l'andamento della profondità ipocentrale con il tempo nei primi 28 giorni dopo il mainshock indica un processo di rottura simile a quello osservato nella sismicità indotta dall'iniezione di fluidi la sismicità dopo il secondo shock principale rimase confinato nel secondo lobo Una sequenza del genere è quindi più simile ad una tipica di aree vulcaniche, dove la sismicità è generalmente associata a fessure piene di fluidi e quindi meritava davvero uno studio a 360°. Inoltre questo evento nonostante la sua profondità ha innescato alcuni fenomeni che di solito spetterebbero ad eventi più importanti, come delle frane, delle variazioni nella portata ed analisi delle sorgenti e persino una rottura cosmica lungo la faglia cordiera di un bacino. Alcuni testimoni riferiscono addirittura di aver pure visto una fiammata (sono più di uno): una disamina di tutti questi accadimenti si trova in [2] Il mix di acque meteoriche e profonde, da [1]  GLI STUDI SUSSEGUENTI. Una prima ricerca ha riguardato il contenuto di CO2 riscontrabile nell'acquifero del Matese, dato che il biossido di carbonio è relativamente solubile nelle acque meteoriche e tra quello atmosferico e quello di origine vulcanica ci sono differenze nella composizione isotopica. Quindi è stata eseguita una vasta serie di analisi per capire meglio se e come questa sequenza abbia influenzato la falda acquifera del Matese, in quanto se davvero c'era stata della attività magmatica lì sotto, nelle sue acque si doveva essere sciolta la maggior parte del gas. L'analisi isotopica del contenuto di carbonio ha rivelato che nelle acque che sgorgano dal massiccio c’è una forte componente di CO2 magmatica profonda, facilmente distinguibile dall'acqua meteorica; non solo, ma le sorgenti con un contenuto più elevato di CO2 magmatico sono chiaramente raggruppate attorno all'area della sequenza sismica 2013-2014. Questo è un primo indizio sul fatto che l’alto contenuto di CO2 magmatico può essere riferito  a una riserva magmatica; ma si tratta di una riserva "morta" o una riserva giovane e calda? Lo studio termico ha confermato la seconda ipotesi, poiché la temperatura alla sorgente delle acque è circa 2°C superiore a quella prevista per l'acqua che si infiltra a 1300-1400 m di altitudine, quindi il CO2 profonda è legata alla risalita di fluidi caldi. Un altro indizio della presenza di magma caldo sono la presenza stessa e la forma a “diga” della zona asismica interna: se si fosse trattato solo di gas non avrebbe senso questa zona senza terremoti, che invece denota la presenza di un settore caratterizzato da una certa plasticità, tipico della presenza di una roccia fusa o, quantomeno, molto calda, circondata da rocce incassanti rigide. Sequenze simili sono state segnalate in California e Giappone a distanze superiori a 50 km dai vulcani e sono state attribuite alla ridistribuzione della pressione del fluido nella crosta [3]. Pertanto, le caratteristiche sismologiche, le analisi geochimiche e i risultati della modellazione del flusso di calore dimostrano che la sequenza del Matese a cavallo fra 2013 e 2014 si è verificata in un'area caratterizzata da un'anomalia geotermica importante, molto probabilmente associata ad un nuovo "impulso" di magma che alimenta un'intrusione già presente e ancora non del tutto solidificata. Le località dove affiorano prodotti dell'attivitàmagmatica dell'appennino centrale, da [4]  LA GEOLOGIA DELL’APPENNINO CENTRALE E MERIDIONALE E LE SUE PARTICOLARI MANIFESTAZIONI MAGMATICHE. Utilizzando le onde sismiche per realizzare una tomografia della Terra, è stato visto che nella crosta superiore e nella crosta media dell’Appennino si trovano dal confine abruzzese-molisano al promontorio del Gargano delle piccole zone caratterizzate da una velocità delle onde sismiche anomalmente alta. Siamo nel basamento cristallino sotto i sedimenti e quindi queste anomalie potrebbero essere cose “vecchie”, e cioè tracce di eterogeneità del vecchio basamento cristallino paleozoico oppure essere geologicamente recenti e quindi derivate da intrusioni magmatiche tardo terziarie se non attuali. I dati geologici fanno decisamente propendere per la seconda ipotesi. Una sparpagliata attività vulcanica si trova nel versante tirrenico dell’Appennino Centrale tra la catena e i magmi recenti della costa fra il Lazio e la Campania, nei monti di Umbria, Abruzzo e Lazio che consiste di qualche colata lavica o coni di scorie abbastanza isolati. Sono magmi dall'analisi particolare e dall'origine molto dibattuta: sodio e soprattutto potassio molto alti (oltre il 5%) e con un contenuto di Calcio superiore a quello di alluminio. Il chimismo per certi versi ricorda quello della Provincia Romana a cui sono spesso associati [5]. La parte più a sud dove troviamo prodotti vulcanici di questo tipo è l’apparato di Montecchio, sulle pendici del Vulture. Il ciclo di Montecchio si è messo in posto quando il Vulture aveva già finito la sua attività e condivide con i tufi e le lave di San Venanzio (queste ultime datate a 265.000 anni fa), Cupaiello etc etc molte caratteristiche geochimiche e petrografiche, che sono estremamente diverse da quelle dei prodotti classici del Vulture precedenti. Il chimismo e i frammenti di rocce portati via durante la risalita che si trovano in questi magmi dimostrano l’origine molto profonda di questi magmi. La somiglianza fra i prodotti dell'Appennino centrale e quelli di Montecchio hanno fatto ipotizzare la presenza di altri episodi magmatici ancora nascosti sotto l'Appennino ed in effetti rocce ignee recenti (intrusive o effusive) sono state trovate in molti pozzi perforati per prospezioni di idrocarburi.  Quindi nell'intero Appennino centrale e meridionale sia in profondità che in superficie troviamo le tracce, sia pure sporadiche, della presenza di liquidi provenienti dalla fusione (molto) parziale del mantello sottostante. Quanto al case del Matese, siamo chiaramente all’interno della zona appenninica e quindi in cui potenzialmente possiamo trovare questi prodotti, però è anche vicino all’area napoletana, in particolare accanto al Roccamonfina, vulcano rimasto attivo fino a non molto tempo fa che però non è strettamente legato al Vesuvio come magma) UN APPENNINO IN ESTENSIONE. Oggi l’intero asse appenninico centrale e meridionale è sottoposto a distensione perché il settore occidentale si muove verso NW, mentre quello orientale a SE [6], ne ho parlato spesso, per esempio qui: ne risulta dunque un allontanamento fra le due parti di qualche mm/anno e ciò origina la forte sismicità dell’area, compresa quella a cui stiamo assistendo dal 1997 (ne ho parlato per esempio qui). Comunque, per mettere le mani avanti, tra un allontanamento del genere e dire che l’Italia si spaccherà in mezzo ce ne passa di distanza: il complesso formato da Sardegna, Corsica e Italia peninsulare ha potuto 40 milioni di anni fa staccarsi dalle coste francesi e spagnole formando il bacino ligure – provenzale, ma si sono mosse quando non c’era nulla che si opponeva al loro moto; in seguito andando verso est 6 milioni di anni fa l’Italia centro – meridionale ha trovato il blocco balcanico per cui ora muoversi dell’altro è piuttosto difficile… la Calabria invece ha continuato ad andare verso SE, staccandosi dalla Sardegna, formando il Tirreno meridionale e fermandosi, o quasi, solo 700.000 anni fa. Ad ogni modo che questa fase attuale dell’Appennino centrale che se non è di “apertura” è sempre di “distensione” possa essere accompagnata da qualche risalita di magmi dal mantello non è certo impossibile dal punto di vista teorico. RISCHI E PERICOLI RIVELATI DA QUESTA SCOPERTA. Naturalmente negli ultimi giorni la stampa ha dato molta attenzione alla notizia, ovviamente in termini più o meno apocalittici. Si va dal rischio di eruzioni vulcaniche a quello di terremoti (naturalmente “disastrosi”). Vediamo di fare il punto della situazione. C’è un certo “rischio vulcanico”? Teoricamente sì, ma non per “oggi o domani”: questa intrusione (o una sua simile) potrebbe prima o poi arrivare in superficie, come è successo appunto al Vulture o nelle aree dell’Appennino caratterizzate da queste piccole manifestazioni vulcaniche. Ma non è certo l’apporto di lave che c’è stato alla fine del 2013 quello in grado di modificare il quadro. La cosa avviene “qualche volta ogni milione di anni”, quindi ...  insomma… è un rischio più teorico che reale.  Anche il rischio sismico è abbastanza inesistente. In Appennino centrale e meridionale, come nel resto d’Italia, i terremoti principali fanno grossi danni e tante vittime soprattutto a causa della pessima edilizia ma, come ho spiegato svariate volte, anche perché si generano molto vicini alla superficie (spesso anche a meno di 10 km di profondità). Inoltre la M dipende molto dalla lunghezza del tratto di faglia che si rompe: è proprio grazie alla lunghezza ipotizzata della sorgente sismica che già anni prima era stata attribuita la potenzialità di un evento a M 6.5 lungo la faglia del Vettore [7].  Queste intrusioni interessano invece zone più profonde (mediamente sui 20 km): già questo farebbe diminuire gli effetti di un eventuale terremoto in superficie. Ma soprattutto è difficile che si possano attivare superfici di faglia così estese da dare terremoti molto forti, anche se con lo stato dell’edilizia che c’è in Italia il rischio che eventi di questa entità e profondità possano provocare dei danni purtroppo esiste eccome…  Insomma, l’aggiunta del rischio sismico dovuto a questa nuova classe di terremoti risulta assolutamente risibile rispetto al rischio sismico già certificato nell’Appennino Centrale dovuto alle grandi faglie che lo interessano e che hanno già dato in epoca storica ampie manifestazioni di quello che sono in grado di fare. PROSPETTIVE SCIENTIFICHE. Come ho scritto, le prospettive scientifiche di questo lavoro sono estremamente interessanti, non solo a livello appenninico, dove potrebbero gettare maggiore luce sulla formazione di questi enigmatici magmi, ma anche a livello mondiale. Perché dimostrnao come l’intrusione di corpi magmatici possa provocare eventi sismici legati ai movimenti dei fluidi, esattamente come succede nei vulcani. Quindi se fino ad oggi la sismicità delle catene montuose viene interpretata come legata a cambiamenti legati alle forze che le deformano e/o a cambiamenti nella pressione dei fluidi lungo le superfici di faglia (questa ultima cosa, fra l’altro, è alla base della sismicità indotta di origine antropica), oggi le prospettive cambiano e non di poco, specialmente in aree con un rischio sismico “tradizionale” poco elevato (non certo, appunto, nell’Appennino centrale, dove viene aggiunto in questo modo ben poco ad un carico purtroppo già piuttosto importante di suo). Parlo soprattutto di catene mature, cioè catene in cui la maggior parte della compressione è finita (e l’Appennino centrale lo è) e che però non sono sede di particolare sismicità. Ma c'è da guardare anche alla ricerca sui magmi stessi: in tutti gli orogeni fossili derivati da scontro continente – continente troviamo delle rocce magmatiche (soprattutto intrusioni raffreddate a pochi km di profondità e oggi affioranti per l’erosione di quanto ci stava sopra) classificate come “tardo” o, meglio ancora “post” orogeniche. Le vediamo sia nell’antichità del Precambriano, ma tornando a tempi più recenti, nell’orogene mesozoico di Dabie in Cina e in molte parti dell’Asia centrale interessate da collisioni nel Paleozoico e nel Triassico, in Iran nella fascia orogenica del Lut, e nelle stesse Alpi sia nel Permiano dopo l’orogenesi varisica che dopo la fase parossistica del ciclo alpino (il granito dell’Adamello è l’esempio noto più vicino). È dunque possibile che alla fine dell’attività tettonica questa attività vulcanica possa diventare protagonista e quindi possa innescare eventi sismici importanti. Un ‘ultima nota sulla sequenza sismica che oggi si sta svolgendo, sempre in Molise, ma un po' a nord di Isernia, centrata nella zona di Vastogirardi. Non appare legata allo stesso motivo, almeno dal punto di vista sismico, perché: gli epicentri sono diffusi senza particolari discontinuità si tratta di una sismicità molto superficiale e quindi se ci fosse una risalita di magmi le temperature delle sorgenti sarebbero aumentate vistosamente, in modo visibile, anche senza strumentazione [1] Di Luccio et al. (2018),Seismic signature of active intrusions in mountain chains Sci. Adv. 2018; 4 : e1701825 [2] Valente et al (2017) Do moderate magnitude earthquakes generate seismically induced ground effects? The case study of the Mw = 5.16, 29th December 2013 Matese earthquake (southern Apennines, Italy) Int J Earth Sci (Geol Rundsch) DOI 10.1007/s00531-017-1506-5[3] Vidale et al (2006) Crustal earthquake bursts in California and Japan: Their patterns and relation to volcanoes. Geophys. Res. Lett. 33, L20313 (2006) [4] Peccerillo 2005 Plio-Quaternary Volcanism in Italy - Springer[5] Conticelli et al (2004) Petrologic, geochemical and isotopic characteristics of potassic and ultrapotassic magmatism in central-southern Italy: inferences on its genesis and on the nature of mantle sources Per. Mineral.  73, 135-164 [6] Farolfi & Delventisette (2016). Contemporary crustal velocity field in Alpine Mediterranean area of Italy from new geodetic data GPS Solutions DOI 10.1007/s10291-015-0481-1 [7] Galli et al 2008 Twenty years of paleoseismology in Italy. Earth-Science Reviews 88, 89 – 117

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